CASE MATTE — KRAPP’S LAST POST / 9.5.2015
All’interno della settima edizione di Luoghi comuni, il festival organizzato
dall’associazione delle residenze lombarde Etre, abbiamo assistito, all’interno del
carcere di Bollate, ad un lungo frammento di “Mombello. Voci da dentro il
manicomio”, intenso e commovente spettacolo che ha come protagonisti gli
internati dell’omonimo manicomio, chiuso nel 1999 per merito della legge Basaglia.
Interpretati da nove attori della compagnia Teatro Periferico di Cassano Valcuvia, lo
spettacolo girerà tutta l’Italia all’interno del progetto “Case Matte”.
Abbiamo chiesto a Paola Manfredi, regista della compagnia che ha diretto lo
spettacolo, di illustrarci il progetto.
Di manicomi e memoria attraverso l’Italia…
Sì, “Case Matte” è un viaggio che attraverserà otto città italiane: Limbiate, Genova,
Reggio Emilia, L’Aquila, Aversa, Roma, Volterra e Firenze. In collaborazione con
Chille de la Balanza, una compagnia teatrale che risiede nell’ex ospedale
psichiatrico di San Salvi a Firenze, e numerose associazioni e importanti musei
come quello della psichiatria di Reggio Emilia e il Museo della Mente di Roma,
organizzeremo una serie di iniziative legate al recupero della memoria di coloro che
hanno vissuto all’interno dei manicomi. Le associazioni promotrici hanno aggregato
intorno a loro altre realtà locali, sino ad arrivare a circa 20 realtà coinvolte.
Dove verrà rappresentato?
Lo spettacolo non andrà in scena nei teatri ma nei vecchi ospedali psichiatrici, oggi
chiusi, e in molti casi minacciati dalla speculazione edilizia. Insieme allo spettacolo,
nelle stesse sedi, verranno presentati “C’era una volta il manicomio”, una
passeggiata all’aperto, e “Atlante della città fragile” di Gianluigi Gherzi; cui si
sommeranno mostre di pittura, documentazioni fotografiche, film, concerti, incontri
con i pazienti ed eventi pubblici con le amministrazioni locali.
Qual è l’intento del progetto?
Non siamo ancora in grado di sapere con esattezza quante persone sono state
ricoverate nei manicomi italiani. Ma se negli archivi di Mombello sono conservate
circa 84.000 cartelle cliniche, possiamo stimare che negli 88 manicomi italiani siano
state rinchiuse centinaia di migliaia di persone, forse addirittura qualche milione,
talvolta per una vita intera, al punto che si può parlare di “ergastoli bianchi”.
“Carte da legare”, un progetto nazionale del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, ha tentato un censimento, ma si è ben presto arenato: le cartelle sono
state messe in sicurezza, ma non sono ancora state catalogate né analizzate. Va
aggiunto che i testimoni, per ovvi motivi anagrafici, ci stanno lasciando, quindi c’è
un popolo la cui storia potrebbe scomparire.
Lo scopo del progetto sta in questo: sottrarre all’oblio un’infinità di vite, di racconti,
poesie, creazioni (pensiamo solo ai graffiti di Nannetti che ricoprono i muri del
manicomio di Volterra e che oggi sono finiti in mani private).
Ma c’è anche un secondo obiettivo: quello di reclamare un uso partecipato degli
spazi degli ex manicomi non ancora ristrutturati. Oggi molti di essi sono
abbandonati e oggetto di vandalismo, mentre potrebbero essere salvati e in
qualche modo riconvertiti in luoghi di cultura.
Com’è nato “Case Matte”?
È nato da un progetto precedente: “Voci da dentro”. Per due anni abbiamo lavorato
con un gruppo di cittadini che ha intervistato malati, medici, infermieri, assistenti
sociali; abbiamo condotto sopralluoghi alla ricerca di materiali, studiato i ritratti di
Gino Sandri, pittore vissuto a Mombello, e interagito con la comunità e la scuola,
che stanno dentro l’ex manicomio.
È stato un lavoro lungo, che si è concluso con uno spettacolo replicato più volte
proprio nei corridoi di Mombello. Le serate hanno visto una grandissima
partecipazione di pubblico. L’unica replica nel teatro cittadino ha registrato
un’affluenza di 650 spettatori. Pensavamo che tutto sarebbe finito lì. E invece gli
spettatori ci hanno scritto, soprattutto giovani, hanno posto domande, molti
volevano sapere. Abbiamo capito che stavamo raccontando qualcosa che in realtà
si conosceva ben poco, quindi abbiamo pensato di continuare a raccontarlo. E
perché fermarci a Mombello, quando anche gli altri manicomi che cominciavamo a
conoscere girando per l’Italia erano altrettanto ricchi di vite nascoste? Così è nato il
viaggio.
Come si svolge lo spettacolo all’interno delle strutture?
Si svolge lungo un corridoio su cui si affacciano alcune porte. Durante la prima
parte il pubblico, disposto lungo un’unica fila e immerso nell’oscurità, ascolta il
trascorrere della vita dei personaggi chiusi dentro quelle stanze, fra mugugni,
monologhi, surreali, grida e silenzi.
Nella seconda parte le luci rivelano ciò che era all’interno: fra pochi arredi (un letto
d’ospedale, un tavolo, una panca, un armadietto di metallo, un lavandino…) si
alternano, a pochi passi dagli spettatori, le azioni, prima soltanto udite e ora visibili.
Sono loro a scandire il tempo, un tempo fatto di niente, di camminate interminabili
lungo i corridoi e riempito da silenzi e urla improvvise, ma anche con punte estreme
di violenza, di incontenibile disperazione e disperata impotenza. Azioni sempre
uguali a se stesse negli anni, nei decenni, potenti nel loro esser semplici, scarne,
nell’essere ciò che sono: qualcosa di realmente accaduto.

